Intervista a Graziano Gala
Autore di Sangue di Giuda
Ciao Graziano e grazie per aver accettato la nostra intervista! Puoi raccontarci qualcosa di te per farti conoscere meglio dai nostri lettori?
Sono un professore precario (al mattino), la notte scrivo. Alcuni racconti sono comparsi in riviste e blog di settore, per minimum fax è uscito in aprile Sangue di Giuda.
Da poco è stato pubblicato, appunto, il tuo primo romanzo. Quando e come nasce l’idea di Sangue di Giuda?
Nasce da una voglia tremenda di riabilitare i disgraziati, gli ultimi, quelli che tendenzialmente restano senza voce: gli spasulati, come li chiamano nella mia città natale. I fuori margine, gli squalificati della vita. Qualcuno di solito muore di freddo in inverno, qualcun altro viene preso a botte, i più fortunati vengono rinchiusi in qualche istituto. Qui ce n’è uno protagonista di un romanzo, seppure con le sue disgrazie e i suoi bisogni: volevo che finisse al centro chi nel foglio – tendenzialmente – neppure entra.
Puoi dirci qualcosa in più sul libro?
A Giuda, un bambino di sessant’anni, viene rubato il televisore: furto di poco conto, non fosse per l’investimento emotivo fatto dal protagonista sullo stesso: lo schermo può far da riparo alle botte paterne, ammesso che i morti siano ancora in grado di picchiare la gente.
Il problema è che il televisore è l’ultima delle preoccupazioni: Giuda non trova sua moglie, viene rinnegato dalla figlia, neppure si chiama Giuda. Partirà – se cento metri di strada possono essere considerati una partenza – alla ricerca di sé e di ciò che gli è stato sottratto con compagni sbilanciati come lui: un gatto che perde, un cane affamato, un travestito e uno scrittore perennemente sotto i fumi alcolici. Un’odissea di quelle clamorose viste le difficoltà di chi viaggia.
In tempo di pandemia e di distanziamento sociale, la promozione del libro è avvenuta in rete. Secondo te, le presentazioni di libri sul web funzionano?
Clamorosamente: il libro era in ristampa dopo dieci giorni. Quando c’è un interesse diffuso, forte, quando c’è dietro una casa editrice solida si può correre su una via parallela per nulla squalificante: ho presentato il testo molte volte su piattaforme digitali e questo consentiva la “presenza” in differita o in modalità altre (molti ti seguono durante la cena).
A me pare abbia molto senso, inutile dirsi che la presenza, quella effettiva, sia di gran lunga preferibile umanamente (mi pare scontato ed ovvio): i libri poi però van venduti e il digitale ha dato grande ausilio.
Il tuo marketing editoriale include anche i social network? Se si, quali e che strategia hai adottato per promuoverti su queste piattaforme?
Non sopporto gli autori che fanno di punto in bianco gli stregoni: Facebook e Instagram sono rimasti gli strumenti di uso classico in un’ottica ben precisa: su questi racconto di esperienze che mi capitano destandomi riso, riflessioni, rabbia.
Il libro è stato uno degli accadimenti, è avvenuto tutto con naturalezza. Se prima parlavo delle avventure dei miei studenti, poi ho iniziato a parlare di Giuda. Non si forma un gruppo di seguaci a caso, è opportuno che chi legge possa rispecchiarsi in quel contenuto, volerci perdere tempo. L’azione però deve essere realistica, altrimenti si rischia di sembrare dei pupazzi che cambiano maglietta al seconda del gioco.
In che modo, secondo te, è possibile coinvolgere i lettori in modo che siano loro a valorizzare il prodotto sui social network e farli diventare veri e propri testimonial?
Una persona che ha speso dei soldi per un libro sarà ben felice di scattare una foto, scrivere un suo pensiero, rifletterci: io ringrazio sempre, odio chi ha un atteggiamento di superiorità. Per chi scrive queste situazioni sono linfa vitale specie in questo periodo di pandemia: si crea comunità proprio in questi modi.
Poi ci sono i book-blogger, figure tante volte bistrattate ma che secondo me hanno retto il gioco in piedi nell’ultimo anno e mezzo consentendo di veicolare e discutere di contenuti e avendo un pubblico fidelizzato nel tempo.
L’on-line non va demonizzato, smettiamola di essere nel settecento. Le piattaforme (ricordo con piacere dirette su Twitch, Facebook, Instagram) consente in tempo reale fruizioni e confronto a costo quasi zero, siamo nel miracoloso. Alcuni fruitori di contenuti si affezionano poi di più e diventano veri e propri promotori consapevoli e non: anche lì esser grati e cercare di instaurare un rapporto umano perché le macchine sono macchine e noi siamo persone che delle macchine devono servirsi.
A me piace conoscere nomi, abitudini e necessità delle persone con cui terrò dibattito, non bisogna spersonalizzare mai il contesto, non siamo in un videogioco. Con un corretto uso si può avere oro tra le mani.
Come ti ‘posizionerai’ tra 5 anni?
Non ne ho idea, mi piacerebbe tantissimo essere in piedi e in salute. Vorrei continuare a fare quello che faccio, a tracciare sezioni parallele alla lingua ufficiale e ad avere le possibilità di confronto e dialogo che si stanno presentando. Vorrei non scrivere mai in lingua ufficiale, vorrei continuare ad indagare gli ultimi cercando di tenerli in vita il più a lungo possibile.
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Co-founder e SEO strategist di Ca2, si occupa principalmente di sviluppare strategie di marketing finalizzate allo sviluppo della visibilità online e offline. Dopo la laurea in Organizzazione e Marketing per la Comunicazione d’Impresa e una passione per i social media, ha approfondito gli argomenti SEO e indicizzazione organica, riuscendo a trasformare i suoi interessi in lavoro.
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